Quando un escursionista nel corso di un’arrampicata scivola e cade, rimanendo in sospensione sulla propria imbracatura, rischia, oltre alle lesioni causate dalla caduta stessa, una particolare sindrome pericolosa e potenzialmente letale nota come sindrome da sospensione.
A seguito della sospensione sulla imbracatura, quando la posizione si mantiene a lungo tempo, il sangue venoso proveniente dagli arti inferiori subisce un blocco causato dalla compressione delle fettucce dell’imbracatura a livello inguinale: questo si traduce in una grossolana riduzione del ritorno venoso al cuore con perdita di coscienza che può evolvere fino alla morte.
Diversi studi hanno dimostrato che, se l’infortunato è cosciente ed in grado di muovere gli arti inferiori quando si trova in sospensione, l’incidenza di sindrome da sospensione sia molto ridotta così come la mortalità ad essa associata.
Alla compromissione della funzionalità cardiaca dovuta alla riduzione del ritorno venoso, si associa un rilascio di adrenalina nel flusso sanguigno come risultato della paura e dell’ansia vissute dall’individuo sospeso. Inizialmente questo picco di adrenalina comporta un aumento della frequenza e dell’intensità delle contrazioni cardiache come meccanismo compensatorio nel tentativo di mantenere il flusso sanguigno cerebrale, ma con il passare del tempo può portare alla comparsa di sintomi come nausea, vertigini, sudorazione, confusione, perdita di visione, ronzio e vertigini.

Nella vita quotidiana, la sincope, ossia la transitoria perdita di coscienza spesso dovuta ad una scarsa perfusione cerebrale, avviene come atto compensatorio: l’individuo, perdendo coscienza, mette allo stesso livello gli arti inferiori, il cuore ed il cervello, ottimizzando quindi la perfusione di quest’ultimo e facendo riemergere l’individuo dall’incoscienza. L’individuo sospeso, di fatto non è soggetto a questo tipo di compensazione poiché durante la sospensione la testa rimane sempre ad un livello più alto degli altri distretti corporei. Per questa ragione la perdita di coscienza può permanere più a lungo e condurre ad ostruzione delle vie aeree, stato comatoso e morte.
Sono inoltre documentati in letteratura casi di morte avvenuta appena dopo che il paziente è stato soccorso a seguito della brusca riduzione della compressione da parte dell’imbracatura. I meccanismi alla base di questo fenomeno non sono ancora chiari, ma pare che abbia un ruolo cruciale il potassio che, rilasciato rapidamente dalle cellule muscolari danneggiate dallo scarso apporto di ossigeno, si libera in circolo, causando aritmie fatali.
Fattori di rischio per lo sviluppo di sindrome da sospensione
I fattori di rischio principali includono:
- Durata della sospensione superiore a 30 minuti.
- Altezza della sospensione da terra superiore a 1,5m
- Età > 65 anni
- Sovrappeso
- Utilizzo di imbracatura dorsale
Primo soccorso nella sindrome da sospensione
Come autosoccorso, risulta utile approntare un anello di corda (o utilizzare una fettuccia) vincolato sulla fune di carico che consenta la creazione di uno scalino, sul quale l’infortunato può scaricare parzialmente il peso.

Se l’infortunato è cosciente, dovrebbe essere istruito a muovere vigorosamente le gambe verso l’alto, creando così lavoro muscolare per mitigare i sintomi.
In caso di incoscienza, il paziente deve essere liberato dall’imbracatura il prima possibile e devono essere attivati immediatamente i soccorsi. In questa situazione, si raccomanda di mantenere il busto minimamente sollevato (circa 30°) per poi adagiarlo lentamente a terra in posizione orizzontale.
Risulta inoltre necessario mantenere un costante monitoraggio dell’infortunato per l’eventuale avvio di rianimazione cardiopolmonare, qualora questi dovesse evolvere in arresto cardiaco.
Sarah Bertozzi, RN, MSN
Bibliografia
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