Lesioni da congelamento: condizioni predisponenti e classificazione

Nelle lesioni da congelamento, a seconda della gravità, si formano cristalli di ghiaccio nei tessuti cutanei profondi e superficiali. I cristalli di ghiaccio si possono formare sia all’interno che tra le cellule dei tessuti, determinando sostanzialmente il congelamento del tessuto e provocando la morte cellulare. Le aree adiacenti non congelate sono ugualmente a rischio perché la vasocostrizione locale e i fenomeni trombotici possono causare un danno sia di tipo endoteliale che ischemico. Durante il riscaldamento vengono rilasciate citochine infiammatorie (p. es., trombossani, prostaglandine), che aggravano il danno tissutale nella fase di riperfusione. La profondità della perdita tissutale dipende dalla durata e dalla profondità del congelamento. L’entità della lesione è una complessa interazione di molti fattori, tra cui ambientali (temperatura, vento gelido, durata dell’esposizione, altitudine) e individuali (genetica, comorbidità, assunzione di farmaci, abbigliamento, utilizzo di prodotti protettivi per la pelle, precedenti lesioni da congelamento).

Non sono disponibili dati completi sull’incidenza delle lesioni da congelamento, se non quelli relativi alle campagne militari dei secoli scorsi. Il tipico paziente che al giorno d’oggi incorre in questo genere di lesione generalmente lavora o si diverte in ambienti freddi e/o ad alta quota, è senza fissa dimora o si trova accidentalmente intrappolato all’aperto durante la stagione fredda. I soggetti più colpiti hanno tipicamente un’età compresa tra 30 e 49 anni e, in più della metà dei casi che accadono nei centri urbani, sono sotto l’effetto di alcol o sostanze.

Condizioni predisponenti e fattori di rischio

Un clima insolitamente freddo, l’alta quota, l’esposizione prolungata al freddo, un abbigliamento inadeguato o l’uso inadeguato di indumenti adeguati sono condizioni che possono predisporre allo sviluppo di lesioni da congelamento.

La temperatura ambiente diminuisce di circa 1,0° C (1,8° F) per ogni 150 m (492 piedi) di aumento di altitudine. In associazione a questo dato occorre tenere in considerazione l’effetto windchill, prodotto dalla combinazione della temperatura ambiente e della velocità del vento per cui, ad esempio, una temperatura ambiente di -6,7° C (-19,9° F) con un vento a 72 km/ora (45 mph) ha lo stesso effetto di raffreddamento di una temperatura di -40° C (-40° F) con una brezza di 3,2 km/h (2 mph). Pertanto, è importante pensare in termini di perdita di calore, non di aumento di freddo. Il congelamento si verifica quando il corpo non è in grado di conservare il calore o proteggersi dalla perdita di calore.

Se è vero che molti casi gravi di congelamento hanno origine in alta quota, è però difficile distinguere il rischio indipendente generato dall’ipobaria/ipossia rispetto all’esposizione al freddo. Infatti, alcune importanti conseguenze dell’acclimatazione all’alta quota – eritrocitosi e disidratazione – provocano iperviscosità del sangue, che può essere un fattore predisponente alle lesioni da congelamento.

Anche il tipo e la durata del contatto freddo sono due fattori importanti nel determinare l’entità della lesione da congelamento; toccare legno o tessuto freddo non è pericoloso quanto il contatto diretto con il metallo, in particolare con le mani bagnate o addirittura umide. Questo è dovuto al risultato delle differenze di conducibilità termica tra i materiali. La neve alta e a debole coesione, che tradizionalmente si pensava isolasse dal freddo, può in realtà contribuire al congelamento poiché la temperatura misurata sotto la neve profonda è spesso molto inferiore a quella in superficie: in una rilevazione durante una spedizione a Denali, in Alaska, quando i membri del gruppo trovarono estremamente difficile mantenere i piedi caldi, nonostante una giornata limpida, soleggiata, a -16° C (3,2° F) con poco vento, un membro ha lasciato cadere inavvertitamente un termometro nella neve e ha notato che registrava -25,6° C (-14,1° F). Ne deriva che i piedi devono essere vestiti per la temperatura al livello della loro immersione nella neve, non per la protezione della temperatura superficiale.

Un ulteriore elemento che può contribuire a un’insufficiente conservazione del calore corporeo è quello relativo al grado di inadeguatezza degli indumenti protettivi. Gli indumenti attillati possono produrre costrizione, che da un lato ostacola la circolazione sanguigna e dall’altro diminuisce il beneficio dell’isolamento dell’aria che trattiene il calore. Gli indumenti umidi/bagnati trasmettono il calore dal corpo all’ambiente, ma possono diventare più protettivi se uno strato esterno resistente al vento diminuisce la perdita di calore. Questo strato resistente al vento deve però mantenere le stesse capacità di trasmissione; in caso contrario, gli indumenti continueranno a inumidirsi. Gli indumenti che riducono la superficie possono ridurre il rischio di congelamento: per questo motivo le muffole sono più protettive dei guanti, perché i guanti hanno una superficie maggiore e impediscono la circolazione dell’aria tra le dita. Infine, è dimostrato che calzature di una misura eccessiva provocano lesioni da congelamento, anche se indossati con calzini in eccesso.

Altri fattori di rischio predisponenti allo sviluppo di lesioni da congelamento comprendono:

  • Fattori individuali: etnia, vecchiaia, disidratazione, fumo di sigaretta.
  • Patologie: malattia vascolare periferica, diabete mellito, malattia di Raynaud, sepsi, precedenti lesioni da congelamento, malattia psichiatrica.
  • Farmaci: beta bloccanti, sedativi, neurolettici.
  • Traumi: qualsiasi lesione immobilizzante, ma soprattutto lesioni alla testa e alla colonna vertebrale, e traumi prossimali degli arti che compromettono la circolazione distale.
  • Intossicazioni: consumo di alcol e sostanze d’abuso.

Classificazione delle lesioni da congelamento

La progressione del danno da congelamento può essere suddivisa in quattro fasi patologiche: precongelamento, congelamento-scongelamento, stasi vascolare e ischemia tardiva. I cambiamenti durante ciascuna fase variano con la rapidità del congelamento, la durata e l’entità della lesione. Può verificarsi anche una sovrapposizione tra queste fasi.

Fasi del congelamento
Tratto da http://www.mayoclinic.org

La pelle senza danni da freddo non presenta cambiamenti di colore o consistenza (1). Il frostnip (2) è un lieve congelamento che irrita la pelle, provocando un cambiamento nel colore e una sensazione di freddo seguita da intorpidimento. Questo tipo di lesione non danneggia permanentemente la pelle e può essere trattata con misure di primo soccorso. Con il congelamento superficiale (3) vesciche piene di liquido possono apparire da 12 a 36 ore dopo il riscaldamento della pelle. Nelle vescicole è presente un fluido limpido o lattiginoso, circondato da eritema ed edema. Con il congelamento profondo (4) la lesione attraversa completamente il derma e coinvolge i tessuti sottocuticolari compromettendone la vascolarizzazione. Ciò porta a mummificazione, con coinvolgimento di muscoli e ossa. Nei bambini le lesioni ossee possono influenzare la cartilagine di crescita e provocare deformità digitali durante lo sviluppo.si prova intorpidimento. Le articolazioni o i muscoli potrebbero smettere di funzionare. Grandi vescicole si formano 24-48 ore dopo il riscaldamento. Il tessuto diventa nero e duro mentre muore.

Una diversa classificazione delle lesioni da congelamento della mano e del piede in base al rischio di amputazione della parte interessata è stata proposta da Cauchy et al (2001). I quattro livelli di gravità proposti, descritti nella tabella, forniscono una previsione anticipata dell’esito finale della lesione da congelamento e della probabilità di amputazione utilizzando una valutazione strumentale tramite una scintigrafia ossea con tecnezio-99m unita alla presentazione clinica.

Classificazione proposta per la gravità delle lesioni da congelamento delle estremità
(Cauchy et al, 2001)

Tra gli elementi che contribuiscono all’evoluzione e alle sequele delle lesioni da congelamento, ci sono anche la rapidità di accesso alle cure e la messa in atto di tecniche di autosoccorso. Nel prossimo articolo verranno illustrate le linee guide ICAR (International Council of Alpine Rescue) per l’auto-trattamento nel potenziale congelamento e le principali indicazioni del management pre-ospedaliero.

Sarah Bertozzi, RN, MSN

Bibliografia

Auerbach PS, Cushing TA, Stuart Harris N. Auerbach’s Wilderness Medicine. 7th Edition. Elsevier

Cauchy E, Chetaille E, Marchand V. Marsigny B. Retrospective study of 70 cases of severe frostbite lesions: A proposed new classification scheme. Wilderness Environ Med. 2001;12(4):248–255.

Johnson C, Anderson S, Dallimore J, Imray C, Winser S, Moore J, Warrel D. Oxford Handbook of Expedition and Wilderness Medicine. 2nd Edition. Oxford University Press

http://www.mayoclinic.org

http://www.msdmanuals.com (Congelamento)

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