Colchicum Autumnale: Rischi e Trattamenti per l’Avvelenamento

Il Colchicum Autumnale, noto anche come croco autunnale, falso zafferano, zafferano selvatico, zafferano dei prati e dama nuda, è originario dell’Europa, ma può essere trovato in tutto l’emisfero settentrionale. All’aspetto si presenta con foglie carnose di un verde intenso e petali violacei. La pianta può essere scambiata per zafferano perché i due fiori sono molto simili. Il Colchicum, però, ha 6 stami, lo zafferano ne ha solo 3. Il Colchicum fiorisce a partire da fine agosto e per tutti i mesi di settembre e ottobre, mentre lo zafferano comincia a sbocciare durante la prima metà di novembre. In foglia, può essere scambiato anche per Aglio Ursino. Il Colchicum contiene nella parte dei fiori, foglie e bulbo l’alcaloide idrosolubile e altamente tossico colchicina.

La colchicina è un alcaloide naturale, utilizzato in medicina sin dall’antichità per le sue proprietà nel trattamento della gotta, alcuna malattie auto-infiammatorie, e, secondo nuove evidenze sembra che possa ridurre significativamente il rischio di mortalità e ospedalizzazione nei pazienti con COVID-19. Tuttavia, a causa della sua elevata tossicità, il suo uso è clinicamente limitato. Sebbene gli effetti avversi più comuni della colchicina in una dose terapeutica (disturbi gastrointestinali tra cui diarrea, vomito e nausea) si verifichino in meno del 10% dei pazienti, dosi eccessive di colchicina causerebbero grave tossicità. La colchicina è infatti un agente antimitotico, ovvero blocca la mitosi impedendo la sintesi del DNA. Si lega in modo reversibile alla tubulina e ne impedisce la polimerizzazione per formare microtubuli, che sono essenziali per processi quali l’assemblaggio delle proteine ​​nell’apparato di Golgi, l’endocitosi, l’esocitosi, la mitosi, la motilità cellulare e il mantenimento della forma cellulare. Interrompendo la rete microtubolare, la colchicina è quindi tossica per tutte le cellule del corpo, non solo per le cellule in rapida divisione dell’intestino o del midollo osseo. La colchicina e i suoi metaboliti vengono eliminati principalmente attraverso il fegato. I reni contribuiscono solo al 10–20% della sua clearance totale. L’emivita di eliminazione negli esseri umani è di 9,3–30 ore. L’ingestione orale che supera la dose orale massima di 2,4 mg/giorno è comunemente considerata un sovradosaggio di colchicina. L’ingestione orale acuta che supera 0,5 mg − 0,8 mg/kg di colchicina è considerata fatale.

Le manifestazioni cliniche dell’avvelenamento da colchicina sono presenti in tre fasi:

  1. La fase I (entro 24 ore dall’ingestione) riflette il danno alla mucosa gastrointestinale caratterizzato da dolore addominale, vomito grave, diarrea ed emorragia gastrointestinale;
  2. La fase II (generalmente da 2 a 7 giorni dall’ingestione) è caratterizzata da acidosi metabolica, shock, mielosoppressione e disfunzione multiorgano tra cui insufficienza renale oligurica, disfunzione epatica e insufficienza respiratoria;
  3. La fase III (da 7 a 21 giorni dall’ingestione) è caratterizzata dal recupero emopoietico del midollo osseo e dalla risoluzione dei disturbi del sistema d’organo.

La tossicità acuta da colchicina non è comune, ma è seguita da un alto tasso di mortalità. La maggior parte dei decessi si verifica 7-10 giorni dopo l’ingestione orale. L’acidosi metabolica e la disfunzione multiorgano sono strettamente associate a una sostanziale morbilità e mortalità. Il tasso di mortalità per i pazienti con avvelenamento da colchicina è del 50%, ma, una volta che si verifica l’insufficienza multiorgano, il tasso di mortalità si avvicina al 100%. Attualmente non esistono antidoti per l’intossicazione da colchicina.

In considerazione dell’elevato tasso di mortalità è essenziale un trattamento tempestivo ed efficace allo scopo di migliorare gli effetti tossici della colchicina, ma, nonostante ogni anno vengano segnalati decessi derivanti dall’ingestione orale di una dose eccessiva di colchicina, attualmente non esistono linee guida di gestione o antidoti specifici. Le strategie di gestione maggiormente descritte in letteratura scientifica prevedono la prevenzione dell’assorbimento, la purificazione del sangue e la terapia di supporto.

Prevenzione dell’assorbimento

La lavanda gastrica è efficace entro le prime 1-2 ore dall’ingestione per rimuovere le sostanze tossiche residue nello stomaco. Inoltre, la decontaminazione gastrica con carbone attivo è raccomandata nella maggior parte delle linee guida per l’avvelenamento acuto da sostanze tossiche. È stato dimostrato che 5 g di carbone attivo possono legare efficacemente fino al 90% di circa 10 mg di colchicina. Il carbone attivo con un piccolo volume di liquido può essere somministrato attraverso il sondino orogastrico per promuovere l’efficienza della decontaminazione tramite assorbimento. Quindi, una volta che la storia di assunzione accidentale o sovradosaggio di colchicina è certa, la lavanda gastrica con carbone attivo deve essere utilizzata tempestivamente dopo l’ingestione orale. L’eliminazione della colchicina nel tratto gastrointestinale può prevenire il danno cellulare della mucosa intestinale dovuto all’esposizione prolungata alla colchicina.

Terapia di supporto con liquidi

Oltre alla lavanda gastrica e al carbone attivo, la rianimazione precoce con liquidi è essenziale per la gestione della perdita di liquidi gastrointestinali. Una grave disidratazione può causare una riduzione della perfusione renale che porta a danno renale acuto con squilibri elettrolitici e acido-base. L’integrazione di liquidi ed elettroliti può quindi promuovere la rimozione della colchicina attraverso i reni e migliorare la perfusione/emodinamica renale.
La fluidoterapia viene enfatizzata in molti casi di segnalazioni di avvelenamento da colchicina, ma le strategie di gestione della terapia non sono state descritte in dettaglio. È accettato che gli obiettivi principali siano ripristinare il volume di liquidi perso e fornire un’adeguata perfusione tissutale. Sia i cristalloidi bilanciati (ad esempio, Ringer lattato, Plasma-Lyte) che la soluzione salina sono ampiamente utilizzati nella pratica clinica. Non essendoci chiare linee guida in merito occorre porre un’attenzione particolare al rapporto rischio-beneficio per ogni paziente monitorando attentamente: lo stato di coscienza, i segni vitali, il bilancio idro-elettrolitico, l’equilibrio acido-base, la temperatura corporea, i fattori della coagulazione.

Monitoraggio della diuresi

Oltre al fegato, il rene contribuisce a < 20% della clearance, per cui, secondo studi recenti, il mantenimento di una diuresi abbondante aumenterebbe l’eliminazione della colchicina.

Purificazione del sangue

La colchicina può essere rapidamente assorbita dal digiuno e dall’ileo e le concentrazioni plasmatiche di picco raggiungerebbero il primo livello di picco a 0,5-1,5 ore dall’ingestione orale, la colchicina sarebbe ampiamente distribuita in tutto il corpo. Sfortunatamente, non ci sono raccomandazioni di esperti sulla purificazione del sangue per l’avvelenamento da colchicina. Dagli studi condotti finora è emerso che, sebbene lo scambio plasmatico e l’emofiltrazione veno-venosa continua abbiano eliminato solo una piccola quantità di colchicina, le metodiche combinate hanno migliorato la prognosi. Sono necessari ulteriori studi clinici per determinare se i due metodi terapeutici possono essere utilizzati per trattare i pazienti con intossicazione da colchicina.

Supporto vitale extra-corporeo (ECLS)

La tossicità della colchicina può causare insufficienza multi-organo, tra cui insufficienza respiratoria acuta e shock cardiogeno con un alto tasso di mortalità. L’insufficienza respiratoria acuta ha rappresentato circa un terzo delle complicazioni. La sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS) può svilupparsi come una grave complicazione dello shock ipovolemico o della sepsi a causa del danno diretto alla vascolarizzazione polmonare. Inoltre, la colchicina può compromettere la funzione miocardica caratterizzata da shock cardiogeno e aritmia maligna, tra cui blocco atrioventricolare completo, asistolia e tachicardia ventricolare. La colchicina provoca cambiamenti istologici nei miociti e influenza la generazione e la conduzione dell’impulso cardiaco. Il supporto vitale extracorporeo (ECLS) è un importante trattamento di supporto contro lo shock cardiogeno refrattario causato da qualsiasi stimolo. L’ECLS, noto anche come ossigenazione extracorporea a membrana (ECMO), può essere utilizzato come “ponte per il recupero”: l’ECLS può non solo mantenere l’ossigenazione degli organi, ma anche superare la fase di shock cardiogeno refrattario. Molte prove indicano che l’ECLS può essere raccomandato come trattamento di supporto di routine per l’avvelenamento fatale da colchicina.

Miglioramento dell’emopoiesi

La soppressione dell’emopoiesi del midollo osseo è una complicanza estremamente grave dell’avvelenamento acuto da colchicina. La trasfusione profilattica di piastrine è utile per prevenire emorragie spontanee nei pazienti con avvelenamento acuto da colchicina. Inoltre, il posizionamento elettivo di un catetere venoso centrale è essenziale per questi pazienti che necessitano di rianimazione con liquidi o perfusione sanguigna. Il plasma fresco congelato può essere trasfuso per integrare i fattori della coagulazione.

N-acetilcisteina

È ben noto che la colchicina può indurre danni endoteliali e mucosi dovuti allo stress ossidativo. La N-acetilcisteina (NAC) mostra la sua capacità antiossidante riducendo il danno cellulare indotto dall’ossidante e l’apoptosi. La NAC viene utilizzata anche nel trattamento dell’avvelenamento da paracetamolo, della fibrosi polmonare e della fibrosi cistica. Allo stesso modo, è dimostrato che il trattamento con NAC migliora significativamente il danno cellulare indotto dallo stress ossidativo da parte della colchicina.

In sintesi, l’avvelenamento da colchicina è un evento raro, ma pericoloso per la vita. L’avvelenamento per ingestione accidentale di Colchicum Autumnale si manifesta con sintomi aspecifici e può essere diagnosticato solo con l’ausilio di un’anamnesi medica dettagliata e di una valutazione della gravità dei sintomi. Gli operatori sanitari dovrebbero essere consapevoli della tossicità del Colchicum Autumnale e l’educazione pubblica sulla prevenzione dell’ingestione accidentale andrebbe implementata. Sono altresì necessari molti più studi per certificare l’efficacia dei metodi sopra menzionati.

Sarah Bertozzi, RN, MSN

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