Nel soccorso in ambiente invernale l’ipotermia non è semplicemente “freddo intenso”. È una condizione fisiologica complessa, dinamica, e soprattutto instabile, in cui il rischio maggiore spesso non è l’esposizione iniziale, ma ciò che accade durante e dopo il recupero.
Due concetti chiave — afterdrop e rescue collapse — non appartengono alla teoria accademica o ai quiz da corso avanzato: sono fenomeni reali, descritti nella letteratura scientifica e integrati nelle linee guida evidence-based. Ignorarli significa aumentare il rischio che un soccorso tecnicamente corretto diventi clinicamente disastroso.
Afterdrop: quando la temperatura continua a scendere dopo il soccorso
L’afterdrop è la riduzione ulteriore della temperatura corporea centrale (core temperature) che si verifica dopo la rimozione dall’ambiente freddo o durante le prime fasi del riscaldamento.
In altre parole: hai tolto il paziente dal freddo… ma il freddo non ha ancora finito di lavorare.
Perché accade?
Il fenomeno è legato alla redistribuzione del calore corporeo e si basa su due meccanismi principali:
- Conduttivo: il calore migra dagli strati centrali più caldi verso la periferia più fredda.
- Convettivo: il sangue freddo delle estremità ritorna al cuore e agli organi centrali, abbassando ulteriormente la temperatura del core.
Studi sperimentali controllati hanno dimostrato che il riscaldamento esterno attivo riduce l’entità dell’afterdrop rispetto al solo isolamento passivo, suggerendo che “coprire bene” non sempre è sufficiente: serve una strategia di rewarming strutturata.
Perché è clinicamente rilevante
L’afterdrop non è solo una curiosità sulla termoregolazione. In pazienti con ipotermia moderata o severa, anche piccoli ulteriori decrementi della temperatura centrale possono condurre rapidamente a:
- aritmie ventricolari potenzialmente fatali
- instabilità emodinamica
- perdita dell’efficacia circolatoria
Non a caso, le linee guida della Wilderness Medical Society (WMS) lo identificano come un rischio concreto da prevenire durante il soccorso e il trasporto, non come un evento inevitabile.

Rescue Collapse: il collasso durante o subito dopo l’estricazione
Il rescue collapse è un collasso cardiovascolare improvviso — sincope, shock, fino all’arresto cardiaco — che può verificarsi durante o immediatamente dopo l’estricazione di un paziente ipotermico.
È il momento in cui “sembra andare meglio”… e invece va peggio.
Meccanismi fisiopatologici riconosciuti
Le linee guida WMS descrivono diversi meccanismi, spesso concomitanti:
- Riduzione del ritorno venoso dopo la perdita della pressione idrostatica (es. uscita dall’acqua o dalla neve)
- Calo delle catecolamine legato al rilassamento psicofisico una volta “salvi”
- Aritmie in un miocardio elettricamente instabile e sensibilizzato dal freddo
Il risultato può essere ipotensione severa o fibrillazione ventricolare proprio nelle fasi più delicate del soccorso.
Un caso reale: quando il soccorso segna il punto di non ritorno
La scena è quella classica del backcountry invernale.
Uno sciatore esperto viene travolto da una valanga e scompare sotto la neve. Il recupero non è immediato: passano oltre due ore prima che venga localizzato. Contro ogni aspettativa, al momento dell’estricazione l’uomo è ancora vivo.
Quando i soccorritori riescono finalmente a liberarlo, il paziente è cosciente. Parla. Risponde alle domande. Non presenta traumi evidenti incompatibili con la vita. È freddo, molto freddo, ma sembra “tenere”.
Ed è proprio questo il momento in cui la situazione diventa pericolosa.
Una volta estratto dalla neve, viene aiutato a mettersi seduto. Respira, si orienta, riferisce di stare meglio. Come spesso accade in questi contesti, prova a fare ciò che farebbe chiunque: alzarsi, muoversi, partecipare attivamente al proprio soccorso. I minuti precedenti, in cui la neve lo immobilizzava, sono finiti. Ora è “salvo”.
Pochi istanti dopo, senza segnali premonitori evidenti, il quadro cambia bruscamente.
Lo sciatore perde coscienza e collassa. Seguono segni di compromissione cardiovascolare rapida, poi l’arresto cardiaco. I tentativi di rianimazione risultano inefficaci. Il recupero, iniziato come una storia di sopravvivenza improbabile, si conclude con un esito fatale.
Nel loro articolo, pubblicato su Wilderness & Environmental Medicine, Hall e colleghi analizzano l’evento con attenzione clinica e senza ambiguità. Non emergono cause traumatiche immediate in grado di spiegare l’arresto. Il focus si sposta quindi sulla dinamica del soccorso.
Secondo gli autori, il collasso è verosimilmente il risultato di una combinazione di afterdrop e circum-rescue collapse: la redistribuzione del sangue freddo verso il core, la perdita della vasocostrizione periferica indotta dal freddo, la riduzione improvvisa del tono catecolaminico una volta percepita la salvezza. A tutto questo si aggiungono la verticalizzazione precoce e lo sforzo fisico, che in un organismo ipotermico possono rappresentare il colpo finale.
Il messaggio che emerge dal caso è netto e scomodo:
l’estricazione non è la fine dell’emergenza, ma una delle sue fasi più critiche.
Questo caso è oggi frequentemente citato nelle raccomandazioni della Wilderness Medical Society proprio per questo motivo. Dimostra che, in ipotermia accidentale, un paziente cosciente e apparentemente stabile può trovarsi sull’orlo del collasso. E che il soccorso, se condotto senza una profonda comprensione della fisiopatologia, può diventare esso stesso il fattore scatenante dell’evento fatale.
In ambiente freddo, il momento più pericoloso non è sempre quello in cui il paziente è sepolto sotto la neve. Spesso coincide con le fasi immediatamente successive all’estricazione, quando la fisiologia dell’ipotermia rende l’organismo particolarmente vulnerabile alle manovre di soccorso.

Cosa dicono le linee guida
Le WMS Clinical Practice Guidelines rappresentano oggi il riferimento più autorevole per la gestione extraospedaliera dell’ipotermia accidentale.
Punti chiave operativi
- Prevenire ulteriori decrementi della temperatura centrale durante e dopo il recupero.
- Evitare movimenti bruschi, verticalizzazioni precoci e sforzi fisici non necessari.
- Gestione delicata e posizione orizzontale per ridurre il rischio di rescue collapse.
- Mantenere un ambiente termicamente protetto durante il trasporto e supportare lo shivering in modo controllato prima di qualsiasi attività fisica.
Perché questi concetti sono cruciali nel soccorso invernale
Molti manuali trattano l’ipotermia come una semplice “condizione da riscaldare”.
La letteratura scientifica e le linee guida WMS mostrano invece che la fase post-esposizione è spesso la più pericolosa.
Afterdrop e rescue collapse non sono eventi rari in ambiente nevoso o acquatico: sono conseguenze prevedibili della fisiologia dell’ipotermia. E come tutte le conseguenze prevedibili, possono essere mitigate solo con:
- tecniche corrette di movimentazione
- isolamento e gestione termica prima e durante il trasporto
- comprensione del continuum fisiopatologico, oltre il numero sul termometro
In montagna, nel ghiaccio o nell’acqua fredda, il vero errore non è arrivare tardi.
È pensare che il peggio sia già passato.
Sarah Bertozzi, RN, MSN
Bibliografia
Brown DJA, Brugger H, Boyd J, Paal P. Accidental hypothermia. N Engl J Med. 2019.
Brown DJA, Ellis JA. Afterdrop and Its Mechanisms. J Therm Biol. 2021.
Danzl DF, Pozos RS. Accidental Hypothermia. Ann Emerg Med.
Hall A et al. Circum-rescue Collapse in Avalanche Victim. Wilderness Environ Med. 2020.
Paal P et al. WMS Clinical Practice Guidelines – 2019 Update. Wilderness Environ Med.
